La videoinchiesta pubblicata da Fanpage il 10 giugno e relativa alle aziende SESA e Bioman getta ombre molto inquietanti anche sul territorio della Riviera del Brenta, secondo il comitato Opzione Zero. «Da tempo denunciamo operazioni strane da parte di Bioman e di altre aziende - affermano gli esponenti di Opzione Zero - ma come al solito veniamo tacciati di essere catastrofisti. Ebbene questa coraggiosa inchiesta, e il lavoro svolto da altre realtà come la nostra, dimostrano una volta di più che quando i comitati parlano non lo fanno a caso. I camion che sversano compost di dubbia provenienza e composizione sono stati visti anche in zona Giare, i rischi di inquinamento di suolo e falde sono concreti. Pretendiamo dai Comuni e da Arpav controlli seri e immediati».
Opzione Zero aveva svelato già alcuni mesi fa come tutti i terreni inizialmente destinati al polo logistico di Dogaletto, così come tutta la valle Miana Serraglia fino a Lugo di Campagna Lupia, fossero passati nelle mani dell'azienda agricola Sant’Ilario che ha per core business l’agroindustria e la produzione di energia da biomasse. «Guarda caso - dice Opzione Zero - l’azienda è interamente posseduta da Bioman, Agrilux e Vallette, tutte società del gruppo Finam, la holding della famiglia Mandato». La prima contestazione operata dal comitato ha riguardato il cogeneratore di Lugo, un impianto a biomassa da 1 Megawatt finalizzato inoltre alla produzione di biometano. Un impianto quasi ultimato grazie al benestare dalla Regione Veneto che ha approvato il progetto, «sebbene il sito di insediamento ricada in piena zona di tutela ambientale a pochi passi dalla Laguna sud». Successivamente il comitato rivierasco aveva fatto scattare l’allarme per uso massivo di glifosate, e per gli sversamenti di compost: «Abbiamo raccolto numerose testimonianze dello sversamento di sostanza organica dall’odore acre e insopportabile nella zona di Giare – continua il comitato – e alcuni attivisti hanno intercettato bilici bianchi del tutto simili a quelli che entrano ed escono dall’impianto di SESA. Ne abbiamo pure seguito uno in uscita dalla Sant’Ilario, e siamo finiti vicino a Pordenone in un impianto della SNUA, società per il trattamento dei rifiuti, detenuta anche questa da Bioman e SESA».
Ma non è finita qui, perché Bioman ritorna in ballo anche nella riapertura dell’inceneritore di Fusina: nel 2016 Opzione Zero e il comitato contro il rischio chimico di Marghera avevano protestato per l’operazione di vendita a Bioman del 40% delle quote di Ecoprogetto, la società del gruppo Veritas che tratta il rifiuto secco, perché sarebbe stata «foriera di scelte sbagliate e pericolose». La quasi totalità dei sindaci del bacino veneziano - nota Opzione Zero - «tirò dritto senza batter ciglio, ma ora saranno loro a dover rispondere della riapertura dell’inceneritore chiuso nel 2014». Il progetto, presentato pochi giorni fa dal direttore generale di Veritas Andrea Razzini, prevede la possibilità di bruciare 333mila tonnellate all’anno di rifiuto secco, fanghi, e biomassa, «con buona pace delle polveri sottili. Troppee commistioni tra pubblico e privato, troppi interessi milionari nel campo dei rifiuti, delle biomasse e dell’agroindustria. Dopo l’inchiesta siamo ancora più determinati ad andare fino in fondo, perché non accettiamo che il territorio e la salute dei cittadini vengano svenduti al malaffare e al bieco profitto. Non guarderemo in faccia nessuno».
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